Rolling Stone - Juli 1968

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Intervista di Jerry Hopkins

 


Con quell’immagine, sua e delle Mothers of Invention, apparentemente così strampalata, Frank Zappa ha fatto molto per influenzare la musica pop in tutto il mondo. Oltre a introdurre il concetto di anarchia musicale ben prima che diventasse popolare (e adesso imitato da altre band), Zappa è anche stato tra i primi a produrre un album rock come una singola pièce musicale (“Disinibitevi!” non è stato “Sergente Pepe”, ma è sicuramente stato una fonte di ispirazione per i Beatles, tra gli altri). Utilizzando quelli che lui chiama “aiuti visivi” e creando un vasto complesso di stili e tecniche musicali (basati su qualsiasi cosa, dai Penguins a Edgard Varèse), Zappa ha ben chiaro dove sia arrivata la musica pop, per quanto pretenzioso possa sembrare questo giudizio. Gli è anche chiaro dove sia arrivata la nostra società malata; i suoi testi satirici non hanno eguali.
Nella primavera del 1968, poco dopo il ritorno di Zappa a Los Angeles dopo 18 mesi a New York, ho parlato con lui delle sue idee, dei suoi progetti e della storia del suo gruppo. L’intervista è stata condotta nel grande salotto della casetta da 700 dollari al mese (davvero) da lui affittata nel Laurel Canyon, una casa in cui si dice abbia vissuto la diva del cinema muto Bessie Love o Tom Mix. Anche se le interruzioni non sono indicate, la conversazione è andata avanti per quasi una settimana, tra i concerti del gruppo fuori città e le prove della Laurel Canyon Ballet Company, una band di ballerini disinibiti che Zappa ha recentemente impiegato in concerto.


Pensi che tutto quello che fai arrivi alla gente? Lo accettano, lo capiscono?
  Siamo veramente entusiasti dell’accoglienza che abbiamo ricevuto a Salt Lake City la scorsa settimana. Per la prima volta il pubblico della classe media è sembrato afferrare l’idea di quello che stavamo facendo. L’hanno ascoltato per quel che era e sembravano poter decidere sul fatto se gli piacesse o no, non solo: “Oh, accidenti, quanto sono strampalati!” Sembravano poter distinguerne le diverse qualità musicali. Credo che, più di ogni altra cosa, dipenda dall’esserci o meno già entrati in contatto. Quando abbiamo iniziato, eravamo gli unici a suonarle. La gente poteva dire che erano strane. Poi, gradualmente, altri gruppi hanno iniziato a riprendere alcune delle cose che facciamo. Quelle innovazioni sono state assorbite dai gruppi più popolari. Quindi, dopo che i ragazzi hanno ascoltato alla radio i dischi dei grandi gruppi ‘sani e puliti’, le loro orecchie si sono aperte un po’ di più.
 
Quali erano o quali sono queste cose?
  Alcuni degli effetti elettronici in combinazione con i fraseggi musicali. Tutti gli elementi di rumore. I cambiamenti nei tempi musicali. I cambi di ritmo. Di certo non si possono ballare, quindi adesso le ascoltano. Tempo fa non era così. A quei tempi il pubblico era ostile a ciò che facevamo. Ci facevano passare brutti momenti. Orbene, tutti i musicisti si sono sempre sentiti feriti nel profondo quando il pubblico disapprovava una loro esibizione. Si scusavano e cercavano di farsi voler bene. Noi no. Noi mandavamo il pubblico a farsi fottere.
 
Anche senza essere quasi mai trasmessi in radio, avete venduto un numero sorprendente di dischi.
  È impossibile stabilire quanti dischi abbiamo venduto. I resoconti che riceviamo dalla Metro-Goldwyn-Mayer fanno talmente schifo da non poterci fare affidamento. Le vendite sono stimate da 300.000 a 800.000. È stato presentato un ricorso e stiamo verificando i loro registri.
 
Questo per dire che non lavori più con la Metro-Goldwyn-Mayer?
  Preferirei non registrare del tutto piuttosto che tornare con la Metro-Goldwyn-Mayer.
 
Qual è la storia dietro “Salsa Grumosa”? È stato scritto e prodotto per la Capitol ma è stato pubblicato dalla Metro-Goldwyn-Mayer.
  È stata una faccenda molto strana. All’epoca in cui mi hanno chiesto di farlo, né la Metro-Goldwyn-Mayer né nessun altro mi aveva mai chiesto di fare musica seria, che deviasse in qualche modo rispetto al normale formato rock & roll. È arrivata la Capitol e mi ha chiesto di scrivere qualcosa per un’orchestra. Il mio contratto con la Metro-Goldwyn-Mayer era come produttore, non come artista, quindi andava bene. Ma poi la Metro-Goldwyn-Mayer ha minacciato di fare causa alla Capitol e la Capitol li ha minacciati a sua volta. Allora entrambe hanno pensato di avere bisogno l’una dell’altra; la Metro-Goldwyn-Mayer ha fatto un contratto discografico con il Capitol Record Club. Tutto si è risolto con un normale accordo commerciale all’americana: acquistato dalla Capitol e pubblicato dalla Metro-Goldwyn-Mayer. A quel punto, comunque, ero davvero incazzato con la Metro-Goldwyn-Mayer.
  Ad esempio: mi hanno inviato un campione di prova di “Lo Facciamo Solo per Soldi” con un sacco di censure. Questa è una delle strofe che avevano tagliato: “E mi ricordo ancora la mammina con il suo grembiule e il suo block-notes che portava da mangiare a tutti i ragazzi al Caffè di Ed”. Orbene, non solo non aveva nessun senso tagliarla, ma sopprimere quattro battute prima del ponte aveva rovinato il pezzo. E avevano cambiato l’equalizzazione. Per oscurare le parole, avevano cancellato gli alti e aumentato i bassi e i medi. Quindi mi hanno inviato quel campione ed io avrei dovuto firmare un benestare alla pubblicazione. Li ho chiamati e ho detto: “Non potete pubblicare questo disco!” E ne avevano stampate già 40.000 copie. Poi, sei o otto settimane dopo, ho ricevuto una telefonata a proposito di “Salsa Grumosa”. Ne avevano appena stampate 12.000 copie ed erano già state distribuite, senza nemmeno avermi inviato un benestare da firmare.
 

In che modo guardi retrospettivamente agli album che hai fatto?
  È tutto un unico album. Tutto il materiale negli album ha un nesso organico, e se avessi tutte le registrazioni originali e potessi prendere una lametta e tagliarle a pezzetti e rimetterle insieme in una sequenza diversa, ne verrebbe comunque fuori della musica ascoltabile. Poi potrei prendere quella lametta, tagliarla a pezzetti e rimontarla in modo diverso, e avrebbe ancora un senso. Potrei farlo venti volte. Questo materiale ha senza dubbio dei nessi.
 
Quali parti di questo ‘grande album’ ti piacciono in particolare?
  “Maiali e pony” su “Salsa Grumosa”, “Il figlio idiota e bastardo” su “Soldi”, “Le scarpe marroni non sono un granché” su “Assolutamente Liberi”, “Poliziotti del cervello” e “Qui non può succedere” su “Disinibitevi!”.
 
Perché queste canzoni in particolare?
  “Maiali e pony” dice proprio quello che volevo dicesse e l’esecuzione è come la desideravo. È al 100% come l’avrei voluta. Sono solito giudicare le nostre canzoni su base percentuale. “Il figlio idiota e bastardo”… mi piace quello che dice. L’esecuzione non mi entusiasma moltissimo, però mi piace la struttura, in particolare la parte parlata in mezzo e il modo in cui si relaziona ai cambi di accordi. Per “Scarpe marroni” è più o meno lo stesso: mi piace quello che dice, anche se non sono soddisfattissimo dell’esecuzione. “Poliziotti del cervello” è probabilmente il pezzo di questa lista eseguito peggio, ma è al tempo stesso una delle canzoni più importanti. “Qui non può succedere” è buona all’80% e ha, che io sappia, una struttura unica nel rock & roll.
 
Hai assunto il controllo sulla promozione dei tuoi album. Non è una mossa senza precedenti?
  Penso sia stata piuttosto una mossa di autodifesa. Non avremmo venduto nemmeno un disco se avessimo lasciato il controllo alla casa discografica. Pensavano fossimo eccentrici. Una cosa originale una tantum, tanto per fare. Ma non lo eravamo. Abbiamo dovuto fargli vedere come potevano guadagnare con quel prodotto. Sin dall’inizio è stato difficile convincerli delle nostre argomentazioni. Gliele abbiamo dovute spiegare. Prima di tutto, ho voluto assumere il controllo sulla pubblicità. In seguito, mi hanno lasciato fare gran parte della promozione.
  Un’altra cosa… l’interno dell’album “Disinibitevi!” mi faceva vomitare. Il confezionamento esterno era per lo più sotto il nostro controllo. La sua promozione era del tutto pianificata, molto attentamente. All’epoca in cui il confezionamento di quel disco fu completato, io stavo alle Hawaii. Non l’ho sottoposto a un esperto. Come risultato, ha una grafica bruttissima. Uno dei peggiori lavori di riproduzione che io abbia mai visto. Erano state prodotte delle immagini - la foto nell’angolo in basso a destra? - era una panoramica di tutte quelle persone. L’hanno rimpicciolita e relegata nell’angolo. Ho gridato ai quattro venti.
 
Dopo aver assunto il controllo sulla pubblicità, che cos’hai fatto?
  La Metro-Goldwyn-Mayer non aveva idea di come fare promozione sulla stampa underground e sui giornali sinistroidi, hippie, su tutto quello che non assomigliava ai media di sistema. Avevamo cercato qualcosa di specifico che attirasse la curiosità delle persone che avevano una certa curiosità per le cose. Che contribuisse a raggiungere proprio quelle persone della comunità che avrebbero comprato il prodotto, che l’avrebbero ascoltato e forse capito più che se fosse stato pubblicizzato verso un pubblico che lo avrebbe rifiutato. Il passaparola è ciò che ha venduto il prodotto. Non abbiamo puntato al pubblico dei figli di papà. Volevamo quelli che l’avrebbero apprezzato e avrebbero coinvolto altre persone.
 
Stai registrando qualcosa adesso?
  Abbiamo in canna due album. Ci stiamo lavorando da cinque mesi. Con i nostri soldi da ragazzini abbiamo affittato per un lungo periodo uno studio a New York, sapendo segretamente da sempre che la Metro-Goldwyn-Mayer non l’avrebbe avuta vinta… perché sono i buoni che vincono sempre. Due album. Uno è “Che Cos’è Successo a Ruben & The Jets?”, un progetto segreto. L’altro è “Nessuna Potenzialità Commerciale”, un cofanetto di tre dischi. Sei lati. Ci sono chicche di otto minuti come la polizia che interrompe una nostra sessione di registrazione. Poliziotti di New York! Dal vivo! In persona! Non si può ballare. C’è anche un pezzo in cui Jimmy Carl Black, l’indio del gruppo, si lamenta perché non facciamo soldi e passerà troppo tempo prima che la band raggiunga il successo. Due canzoni sullo Stadio della Legione di El Monte. Una canzone sulle carte d’identità falsificate. Un’altra canzone sui capezzoli. Una canzone surrealistica rhythm & blues chiamata “L’aria che ti fuoriesce dalla bocca”. Altre due cose surrealistiche: “Signor Geni Verdi” e “Elettrica Zia Jemima”. Molti brani strumentali. In una canzone, che dura 90 secondi, abbiamo utilizzato 40 tracce. Ci abbiamo messo quattro giorni per montarla. Uscirà probabilmente in autunno.
 
Ho letto che sei un musicista autodidatta. Come hai iniziato?
  Volevo suonare la batteria, così ho preso delle bacchette e ho iniziato a battere sui mobili a più non posso, fino a quando i miei genitori non si sono arresi e mi hanno comprato un rullante. Non ascoltavo rhythm & blues, ero essenzialmente interessato alla musica orchestrale. Poi ho sentito un po’ di rhythm & blues e volevo entrare in una band di rhythm & blues. Ho cercato i soldi per mettere insieme una band. A quei tempi lo strumento solista non era la chitarra; era il sassofono. Poi ho iniziato a sentire un po’ di chitarra. Volevo che la suonassero in quel modo, ma non lo facevano. A 18 anni ho smesso di suonare la batteria e ho comprato una chitarra. A un’asta, costava un dollaro e mezzo. Era una di quelle vecchie chitarre archtop con i fori a forma di F. Le corde erano talmente alte che non potevo suonare accordi, così ho iniziato subito a suonare fraseggi. Ho imparato a suonare gli accordi soltanto dopo un anno circa. Dopo quattro settimane, suonavo accompagnamenti di merda da ragazzini. A 21 o 22 anni ho comprato una chitarra elettrica, ma ho scoperto che non sapevo suonarla e ho dovuto ricominciare da zero.
 
Quando hai riunito la tua prima band?
  Quando stavo al liceo, prima di iniziare a suonare la chitarra. Era un gruppo chiamato Blackouts… nel liceo della Antelope Valley. Lancaster era una piccola città divertente. Avevano avuto una brutta esperienza intorno al 1954, prima che io mi trasferissi in quella valle. Joe Houston e Marvin and Johnny e alcuni altri erano arrivati e avevano fatto uno spettacolo rhythm & blues. Era la prima volta che da quelle parti si vedeva del rhythm & blues. E ovviamente, con i gruppi sono arrivati gli spacciatori e la città si è spaventata molto.
  A quei tempi la polizia aveva paura degli adolescenti. Era un brutto ambiente. Risse tra gang e tutto il resto. Poi sono arrivato in città. Lavoravo con un gruppo di rhythm & blues a San Diego. Avevo messo insieme una band e siamo rimasti insieme abbastanza a lungo da imparare dieci canzoni. Fuori città c’era un villaggio di negri chiamato Sun Village ed erano loro che sostenevano il nostro gruppo. C’erano stati dei balli con un sacco di negri, e questo aveva preoccupato la gente in città. La sera prima di uno spettacolo la polizia mi ha arrestato per vagabondaggio e trattenuto in prigione per tutta la notte.
  I miei genitori mi hanno fatto uscire. La band è rimasta insieme fino a quando tutti hanno iniziato a starsi sulle palle. Dopo di che, ho lasciato il gruppo, che si è trasformato negli “Omens”, adesso alcuni di loro stanno nelle Mothers e altri con il Capitano Cuore di Manzo. Don Vliet (il Capitano Cuore di Manzo) era nella band. Don ed io ci vedevamo dopo la scuola e per tre o quattro ore ascoltavamo dischi. Cominciavamo a casa mia, poi prendevamo qualcosa da mangiare e uscivamo nella sua vecchia Oldsmobile a caccia di passera - a Lancaster! Poi andavamo a casa sua, assalivamo il furgone di pane di suo padre, ci sedevamo a mangiare panini all’ananas e ascoltare dischi fino alle cinque del mattino, e a volte marinavamo scuola il giorno successivo. Sembrava l’unica cosa importante in quel momento. Abbiamo ascoltato quei dischi talmente tante volte che potevamo cantarne gli accompagnamenti di chitarra. Ci facevamo quiz a vicenda su quanti dischi aveva pubblicato un tale, qual era il suo ultimo disco, chi l’aveva scritto, qual era il suo numero di catalogo.
 
Si dice che tu abbia una delle migliori collezioni di dischi rhythm & blues al mondo. È vero?
  È notevole. È tutta lì in quell’armadio. Vuoi vederla? Alcune delle prime cose risalgono alla fine degli anni ’40. Esistono molte altre collezioni più grandi. Nella mia collezione ci sono tutti i dischi che mi piacevano. Ho collezionato le canzoni che mi fanno sentire nostalgia del liceo.
 
Come tema, quello del liceo sembra importante per te…
  Penso che molti, compresi quelli che lo frequentano, non sappiano che cosa sia il liceo. Il mio materiale dà loro una prospettiva. La gente è stupida. Non si sofferma mai per mettere in discussione le cose. Le accettano e basta. Riesci a immaginare un Paese che non mette mai in discussione il valore delle cheerleader e dei pompon? A Lancaster le cheerleader avevano una grande importanza, l’inno “Boola Boola” non gli bastava; gestivano anche il cosiddetto consiglio studentesco. Erano solo porcelline. Era troppo americano per me.
 
In che modo pensi che i giovani di oggi differiscano dai giovani di, diciamo, dieci anni fa?
  Certamente adesso hanno la vita facile, no? A quei tempi, per prendere la macchina dovevi fare a pugni con tuo padre. Se oggi chiedi la macchina a tuo padre, lui ti risponde: “Quale?” Ai vecchi tempi trascinavi il tuo vecchio fuori sul prato e vi scazzottavate, lui ti diceva di tornare a casa entro la mezzanotte e tu tornavi a casa entro la mezzanotte. Oggi i genitori non osano dirti a che ora devi tornare. Hanno paura che tu non torni affatto. Che tu prenda acidi, che ti unisca a un gruppo rock & roll. Scappare di casa non è come ai vecchi tempi. Oggi sai che ci sono persone un po’ più grandi di te che si prenderanno cura di te. A quei tempi era pericoloso scappare di casa. Non esistevano ambienti underground. C’erano solo gruppi di adulti, forse più antipatici dei tuoi genitori.
 
A che punto si sono formate le Mothers?
  Jimmy Carl Black stava impegnando dei piatti da batteria, per poter mangiare, e in quel monte dei pegni ha incontrato Roy (Estrada). Hanno iniziato a parlare e hanno formato un gruppo chiamato Soul Giants. Ray (Collins) si è unito a loro e stavano lavorando in un club chiamato Broadside a Pomona. Ray non andava d’accordo con il chitarrista del gruppo, e quando ben presto si ritrovarono senza un chitarrista, mi chiamarono e mi chiesero di sostituirlo. Ho pensato che fosse un gruppetto stiloso e ho proposto un accordo per formare un gruppo e fare un po’ di soldi, forse anche un po’ di musica… ma inizialmente era un accordo sui soldi.
  Quando si deve lottare per lavorare nei nightclub per un massimo di sette dollari a serata a testa, si pensa innanzitutto ai soldi. C’è sempre la speranza che, restando insieme abbastanza a lungo, si potranno fare dei soldi e si potrà avere un contratto discografico. Allora sembrava una cosa da fantascienza perché era il periodo della cosiddetta Invasione Britannica, e se non suonavi come i Beatles o gli Stones, non trovavi lavoro. Non era il nostro genere. Suonavamo cose strane e venivamo licenziati. Esortavo a resistere e ci trasferivamo in un altro nightclub: il Red Flame a Pomona, lo Shack a Fontana, il Tom Cat a Torrance.
  Qualche tempo prima avevo un gruppo chiamato “Mothers”, ma in quel periodo ci chiamavamo “Captain Glasspack and His Magic Mufflers”. È stato un periodo strano. Siamo persino stati cacciati da certe jam session di tarda sera. Dopo un po’, siamo tornati al Broadside a Pomona e ci siamo scelti il nome di “Mothers”. È successo, per puro caso, il giorno della Festa della Mamma, anche se a quel tempo non ne eravamo a conoscenza. Quando si è alla fame, non si bada alle festività.
 
Per quanto tempo avete suonato nei nightclub?
  Troppo a lungo. Era evidente che non stavamo andando spediti verso la celebrità e la fortuna. Abbiamo deciso di prendere un manager, e che cosa fai in questi casi? Prendi qualcuno che è un amico e che è più grande. Abbiamo preso Mark Cheka, che si è presto reso conto di aver bisogno di aiuto e aveva un amico di nome Herb Cohen. Mark ci ha procurato un lavoro per una festa del regista di “Mondo Hollywood” e lì c’era Herb. Herb non sapeva cosa stessimo facendo in particolare, ma pensava che avessimo… potenzialità commerciale .
  Herb ci ha fatto fare un provino all’Action di Hollywood, dove sei o sette mesi prima ci avevano rifiutati perché i nostri capelli non erano abbastanza lunghi. Non erano ancora molto lunghi, quindi indossammo camicie viola e cappelli neri. Sembravamo impresari mafiosi di pompe funebri. La direzione di quel locale reagì istintivamente a quel modo di presentarci e ci assunse per quattro settimane. Quello fu l’inizio dei tempi d’oro. Lo scalino successivo fu il Whisky e poi il Trip, che era proprio il paradiso. Dopo l’Action abbiamo avuto un ingaggio al Whisky perché Johnny Rivers, che lì era fisso, era andato in tournée e avevano bisogno di qualcuno per riempire il buco, senza spendere troppi soldi.
  La nostra situazione lì era così precaria che, fino agli ultimi tre giorni, non hanno nemmeno messo fuori un cartello con il nostro nome, e poi quel cartello l’abbiamo dovuto pure pagare. Dopo siamo andati al Trip, dove ricevevamo molte richieste per “Aiuto, sono una pietra” e “Ricordi di El Monte”. Il problema era che durante queste canzoni nessuno ballava perché nel mezzo io parlavo e il pubblico voleva ascoltare. Elmer (Valentine) voleva che nel suo club le persone ballassero, ma se qualcuno avesse guardato dalla porta e avesse visto la pista da ballo vuota, non sarebbe entrato. Almeno, questo è quello che diceva. Allora una sera abbiamo suonato quelle due canzoni per un’ora! Per un’ora di fila nessuno ha ballato. Nel periodo immediatamente successivo vendevamo vuoti di bottiglie per comprarci sigarette e mortadella.
 
Quando hai firmato con la Metro-Goldwyn-Mayer?
  Ci avevano visto al Whisky e abbiamo iniziato a registrare nel periodo dei vuoti di bottiglie. Il primo giorno di registrazione non avevamo nemmeno i soldi per mangiare. Se Jesse Kay non ci avesse dato dieci dollari, saremmo svenuti. Ma lui l’ha fatto e noi non siamo svenuti, e quel primo giorno abbiamo buttato giù sei tracce. Dopodiché è iniziata l’ascesa verso la celebrità presso i ragazzini.
 
L’immagine del gruppo è stata pianificata con cura? L’immagine fricchettona?
  C’è una differenza tra fricchettoni e hippy. Agli hippy non importa nulla di come appaiono, mentre ai fricchettoni importa moltissimo. Il loro modo di apparire e la costruzione della loro immagine sono una parte molto importante del loro stile di vita. Ebbene, io non dicevo ai ragazzi della band cosa indossare; gli suggerivo semplicemente di vestirsi in modo conforme a quello che stavamo facendo. Pensavo che, suonando il tipo di musica che suonavamo, non avremmo potuto presentarci con cotonature elaborate, come facevano alcuni. A qualche membro c’è voluto un anno per cambiare. Devi capire che qualcuno di loro viveva nella Contea di Orange e aveva paura di tornare a casa con un look troppo strano. Dopo un po’ si sono arresi. È da un paio di anni che non ne parliamo più.
 
L’immagine era in relazione alla musica?
  Certo, e ovviamente lo è ancora. L’aspetto di un gruppo è connesso alla musica nello stesso modo in cui la copertina di un album è connessa al disco. Dà un indizio su quello che c’è dentro. E tanto migliore è la confezione, tanto più chi ha scelto quella confezione lo apprezzerà.
 
Una volta hai detto a Davy Jones dei Monkees che ti piaceva la musica dei Monkees più di ogni altra cosa tu avessi sentito a San Francisco. Dicevi sul serio?
  Ho detto che la maggior parte di quello che loro avevano registrato suonava meglio. La gente pensa che il rock di San Francisco abbia un valore cosmico e così via, ma è musica prodotta, e la musica prodotta non ha valore. Anche la musica dei Monkees è prodotta, ovviamente, e a questo punto vorrei dire: valgono quasi lo stesso, però i dischi dei Monkees sembrano prodotti meglio. Il problema con i gruppi di San Francisco è che mi aspettavo prodigi e miracoli, invece ho sentito solo band bianche di blues che sembravano meno originali della mia piccola band al liceo.
 
Ci sono in questo settore dei gruppi che ritieni validi?
  Sì. Mi piacciono i Chrysalis, Jimi Hendrix, i Cream, il Capitano Cuore di Manzo, i Traffic. E non necessariamente in quest’ordine.
 
Nessun artista solista?
  Quali artisti solisti ci sono tra cui scegliere? Penso che il lavoro creativo sia stato svolto in maggior parte da gruppi, non da artisti solisti. Ci sono molti artisti solisti competenti, ma non stanno, a onor del vero, allargando le frontiere.
 
Sei tornato a Los Angeles perché qui ti senti più a tuo agio?
  Questo è uno dei motivi. Laurel Canyon mi piace molto. È il primo posto in cui ho vissuto dove mi sento a casa.
 
Avevate intenzione di restare a New York tanto a lungo, 18 mesi?
  No. La prima volta che ci siamo andati è stato il Giorno del Ringraziamento, per una settimana, e ci siamo trattenuti fino a Capodanno. Dopo, siamo partiti per Montreal per due settimane, poi siamo tornati a Los Angeles, ma ci siamo trovati di fronte al problema di non avere abbastanza lavoro. La polizia aveva fatto chiudere tutto. Alcuni membri della band hanno cinque figli da sfamare. Abbiamo ricevuto un’offerta per tornare a New York e suonare in un teatro (il Garrick) la settimana di Pasqua. Nel frattempo, avevamo preso qualche lavoro, ma faticavamo a tirare avanti. È stato in quel periodo che ho scritto “Salsa Grumosa”, in undici giorni. Ad ogni modo, New York sembrava andar bene. Nella settimana di Pasqua abbiamo avuto un tale successo che la direzione del teatro ha, erroneamente, programmato di tenerci fino all’estate. Il lordo per i cinque mesi è stato di 103.000 dollari, che sembra fantastico, ma le spese generali erano alte. L’affitto per il locale era di 1000 dollari al mese. L’elettricità, altri 500 dollari, quindi alla fine dei conti abbiamo guadagnato a testa forse duecento dollari a settimana.
 
È stato lì che avete iniziato a inscenare le vostre “atrocità”?
  Sì. Facevamo di tutto. Abbiamo celebrato un paio di matrimoni sul palco. Abbiamo preso della gente dal pubblico e gli abbiamo fatto fare dei discorsi. Una volta abbiamo fatto salire 30 persone sul palco, qualcuno di loro ha preso i nostri strumenti e il resto ha cantato “Louie Louie” dopo che ce ne eravamo andati. Avevamo un sistema con un cavo che partiva dalla cabina luci sul retro del teatro e arrivava sul palco, e il tecnico delle luci mandava giù delle cose lungo il cavo. In primo luogo, forse, una bambola con le gambe aperte… seguita da un salame che si ficcava nel culo della bambola.
  Era tutto pianificato con cura e noi suonavamo la musica giusta per quel genere di cose. A volte il tecnico delle luci ci sorprendeva mandando lungo il cavo uova o altre cose veramente a casaccio. La nostra attrazione principale era una giraffa di peluche. Avevamo sul palco una grande giraffa imbottita, con un tubo che terminava in mezzo alle sue gambe posteriori. Ray Collins si avvicinava alla giraffa e la massaggiava con un calzino-burattino a forma di rana… al che la coda della giraffa si irrigidiva e il tubo spruzzava panna montata sulle prime tre file del pubblico. Tutto con accompagnamento musicale, ovviamente. Era il numero più popolare del nostro spettacolo. La gente lo richiedeva sempre. Fuori dal teatro c’era uno strillone che trascinava le persone dalla strada in quella sala puzzolente per un’esperienza da brivido, e noi offrivamo loro un’esperienza da brivido.

 
Era l’unica ragione per cui lo facevate o era in qualche modo collegato alla musica?
  La musica è sempre un commento sulla società, e certamente le atrocità su quel palco erano piuttosto blande rispetto a quelle condotte a nostro nome dal nostro governo. Per dire quello che vuoi dire, a volte non puoi scrivere un accordo abbastanza brutto e quindi devi ricorrere a una giraffa piena di panna montata. Inoltre, la gente non sapeva ascoltare. Il loro interesse si affievolisce e hanno bisogno di qualcosa che li aiuti a ri-focalizzarsi.
  In realtà, il modo in cui sono iniziate le atrocità è stato per caso. Qualcuno aveva regalato a uno dei ragazzi una grande bambola, e una sera abbiamo fatto salire dal pubblico alcuni Marine. Tanto per spezzare la monotonia. Non avevamo ancora iniziato le atrocità. Così c’è venuta l’idea di far vedere al pubblico come erano veramente i Marine. Ho gettato la bambola ai Marine e ho detto loro: “Questo è una bambina muso giallo… fateci vedere come trattiamo i musi gialli in Vietnam”. E loro l’hanno fatta a pezzi. In seguito, abbiamo incluso oggetti di scena in tutti i nostri spettacoli. Li chiamo ‘ausili visivi’.
 
Quanto di quello che fate in uno spettacolo dal vivo è pianificato?
  L’unica parte pianificata degli spettacoli sono i componenti costitutivi: alcuni elementi, i rumori, le canzoni, i segnali per le canzoni e per i rumori. Questi componenti sono assemblati in vari modi. La sequenza è la parte più importante dello spettacolo e indicherà come ascoltare la musica. È tutto controllato tramite segnali. Ad esempio, quando salto e colpisco il pavimento, le prime due note che suono alla chitarra indicano ai membri quale sarà la canzone successiva. A volte uso segnali con le mani per indicare un rumore di vomito o di grugnito. Cose di questo genere.
 
La formazione del gruppo è cambiata nel corso degli anni. Chi c’è nel gruppo adesso?
  Ray Collins, il cantante principale. Lo conosco da 10 anni, cantava rhythm & blues da 15 o 16 anni e adesso ha circa 30 anni. Ha un senso dell’umorismo molto bizzarro, come si vede quando esegue i suoi trucchi magici, che non funzionano. Prima di unirsi alle Mothers, faceva il barista e il falegname part-time.

 
Roy Estrada è il bassista, ha 26 anni. Suona rhythm & blues da quando aveva 16 anni, ha vissuto quasi sempre nella Contea di Orange, dove guidava un camion di legname prima di entrare nel gruppo.
  Jimmy Carl Black è il batterista, ha circa 30 anni e fino a poco tempo fa era un bevitore di birra estremamente ambizioso: 10 litri al giorno. È Cherokee al 90% circa (il suo nome indiano è James Inkinish) e lavorava in una stazione di servizio in Kansas.
  Ian Underwood ha 29 anni, ha un dottorato in musica a Yale / Berkeley ed è un affermato suonatore di fiati e pianista concertista, specializzato in Mozart. L’ho conosciuto un giorno in studio, voleva unirsi al gruppo. Gli ho chiesto: “Che cosa sai fare di straordinario?” Suonava il piano e il sax alto, e l’ho assunto.
  Bunk Gardner, di cui non so molto. Si è evidentemente formato al conservatorio, si fa la barba con cura, si pettina i capelli e gli piace togliersi i vestiti quando conta i soldi.
  Euclid James “Motorhead” Sherwood lo conosco da 12 anni. A Lancaster eravamo nello stesso liceo. Suonava il sax baritono negli Omens. Sa fare un ballo noto come “bug”, che sembra un attacco epilettico. È uno di quei tipi di cui dici: “Conosco uno che è davvero strano e voglio fartelo vedere”. Per un po’ ha gestito le nostre attrezzature, e quando abbiamo iniziato le atrocità, abbiamo cominciato a passargli i nostri strumenti per vedere cosa ne veniva fuori. Suonava cose più fantasiose di quelle dei musicisti esperti. Lui da solo contro lo strumento a bocca, un sassofono. È anche molto bravo con le bambole e gli ausili visivi.
  Don Preston suona il piano elettrico, l’organo elettrico e gli effetti di musica elettronica. Il suo principale motivo di vanto è che perde soldi, centinaia di dollari al mese.
  Art Tripp ha suonato per due anni come percussionista con la Cincinnati Symphony. Ha girato il mondo per il Dipartimento di Stato. Ha tenuto concerti da solista di musiche di Stockhausen e John Cage. Ciò nonostante, è raccapricciante quanto gli altri membri della band.
  Penso siano tutti. Otto? Otto.
 
A quali persone attribuisci il merito di aver influenzato il tuo lavoro?
  Sembrerebbe solo un elenco stupido. Per i più, non significherebbe nulla. Tra un altro anno forse la gente sarà pronta per queste persone. Adesso sarebbe solo un elenco di nomi che non sa nemmeno pronunciare.
 
Dove pensi che stia andando la musica?
  La tendenza più semplice da prevedere è la tendenza verso l’eclettismo.
 
Non è ciò che abbiamo adesso?
  Sì, ma le band se ne stanno interessando solo ora. Oltre all’eclettismo, ci sono altre due direzioni che la musica potrebbe prendere. Una è quella che si potrebbe chiamare neoclassicismo. I gruppi, dopo aver fatto un certo numero di esperimenti con la limitata competenza tecnica che possiedono, potrebbero aver scoperto tutto quello che si aspettavano di scoprire. Dopo un po’, alcuni di loro inizieranno ad ascoltare il rhythm & blues prestando orecchio alla struttura… lo ascolteranno piuttosto che provare a cantarlo come i negri. Per creare nuovi suoni potrebbero utilizzare alcune delle tecniche di base degli anni ’50. In altre parole, le cose potrebbero diventare più semplici. Potrebbe esserci un ritorno di canzoni sincere su fidanzati e fidanzate. Può anche darsi che le persone ricomincino a ballare insieme .
  L’altra direzione è l’idea dell’officina. Il mercato dei gruppi è in calo, i gruppi si stanno dissolvendo. È possibile che alcuni membri di questi gruppi abbiano raggiunto la statura musicale che desideravano raggiungere e non badino troppo alle cazzate del business, così potrebbero abbandonare i loro gruppi e unirsi a un’officina dove i loro servizi sarebbero a disposizione di un sistema che accetterebbe prenotazioni da un impresario. Che sceglierebbe i musicisti dall’officina e dovrebbe solo dirgli quanti pezzi ha bisogno ogni volta. Ai musicisti sarebbe data una settimana di preavviso, più una settimana per mettere insieme un’ora di materiale. Suonerebbero quindi una volta e non suonerebbero mai più insieme nello stesso modo. Ogni volta si avrebbe così un intrattenimento irripetibile. Si avrebbe la possibilità di ascoltare qualcosa di spontaneo, qualcosa che farebbe bene a tutti. Per i musicisti sarebbe una sfida. Non dovrebbero più suonare sempre lo stesso repertorio. Penso però che il neoclassicismo sia più probabile.
 
C’è qualche argomento che non abbiamo toccato che ti piacerebbe…
  Sì, penso che esista una legge che dice che, se subisci un processo per qualcosa, devi essere processato da una giuria composta da tuoi pari, giusto? Bene, penso che un requisito minimo per questo gruppo di pari sia che debbano essere persone del tuo gruppo politico-socio-economico, almeno della tua stessa fascia d’età. In altre parole, i giovani capelloni non possono essere giudicati equamente da anziani calvi; non sarebbe un gruppo di pari. Se hai i capelli lunghi, la giuria dovrebbe avere i capelli lunghi. Se assumi droghe, la giuria dovrebbe avere assunto droghe. Se sei iscritto alla organizzazione reazionaria di John Birch, la giuria dovrebbe essere composta da iscritti alla stessa organizzazione…
 
Aspetta un attimo. Stai dicendo sul serio? Fino a che punto? Agli occhi azzurri?
  Non dico che debbano essere tuoi duplicati biologici. Ma ci dovrebbe essere una definizione sociologica di gruppo di pari. Dovresti essere giudicato da persone che vedono le cose nel tuo stesso modo. Finché ciò non accadrà, ogni volta che sentirò la parola “giustizia”, mi verrà da ridere.
  È solo che… Beh, lo sapevi che in questa città esiste una legge contro i disturbi alla quiete dei poliziotti? Davvero! Se un poliziotto se ne sta nella sua volante a bersi un caffè e tu suoni il clacson, puoi essere arrestato per disturbo alla quiete di quel poliziotto. E se ti rivolgi a chi hai accanto e parli di suonare il clacson, questa è cospirazione per disturbo alla quiete di un poliziotto, che è un reato. Sai, le istituzioni avrebbero potuto mettere nei forni tutti i fannulloni e i capelloni, ma ciò avrebbe creato un po’ di scalpore, e quindi si sono limitati a rendergli la vita impossibile. Dicono: “Mettete in riga quei coglioni”. Ecco fino a che punto sono arrivate le cose in questo Paese. Ne parlo perché le lamentele pubbliche sono come la Top 40. Qualche tempo fa erano dirette contro il napalm à gogo e la Dow Chemical Company. Adesso sono dirette contro qualcos’altro. Racconta alla gente del gruppo di pari e della giustizia. Digli di rimuginarci un po’ sopra.


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