Iconoclast - März 1974

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Intervista di Mark Roberts

 


Questa intervista è stata condotta nella camera d’albergo di Frank Zappa il 6 marzo 1974, il giorno dopo la sua esibizione a Dallas con le sue Mothers. Don Christensen e Craig Curtis, due studenti di musica che hanno condiviso il mio interesse per il lavoro di Zappa, mi hanno aiutato a preparare le domande. L’intento principale di questa intervista era quello di esplorare le posizioni di Zappa riguardo alla musica, un argomento che, come lui stesso ha notato a conclusione della discussione, nelle sue interviste è stato spesso trascurato. Pertanto, qui non troverete alcuna menzione dei famigerati spettacoli teatrali di Zappa. Se volete divertirvi con quelle dicerie trite e ritrite, vi suggerisco di fare riferimento alle copie sbiadite delle riviste Rolling Stone o Time. Lì troverete esempi a bizzeffe di quell’ossessione per le prime esibizioni di Zappa che hanno, per anni, oscurato il suo genio come compositore di musica intelligente e fantasiosa.


Come hai iniziato a interessarti alla composizione musicale?
  La prima cosa che ho fatto è stata quella di decidere che scrivere musica era la cosa più divertente che si potesse fare. Quindi ho, semplicemente, iniziato a farlo.
 
Hai usato qualche testo?
  Ero, in generale, interessato all’arte, e sapevo disegnare da quando ero piccolo. Così ho visto uno spartito e ho disegnato uno spartito. Non avevo idea di come avrebbe suonato o di cosa rappresentasse, ma sapevo com’era fatta una croma - non sapevo fosse una croma. Ho iniziato a disegnare musica, ecco com’è andata. Ho cercato e trovato qualcuno che la buttasse giù al piano, per sentire come suonava. E mi sono detto: “Beh, è così semplice? Tu fai un disegno e qualcuno lo suona per te. È fantastico”. È così che ho iniziato.
 
Quali compositori ti hanno influenzato?
  Varèse, Stravinskij, Webern, principalmente. E Penderecki.
 
Qualche compositore jazz?
  Sì. Charlie Mingus, Thelonious Monk.
 
Quando eri giovane, che tipo di musica ascoltavi?
  Rhythm & blues.
 
Erik Satie, nelle sue composizioni, usava molto umorismo e molti brevi commenti verbali scherzosi nella sua musica. Lo faceva come difesa, a causa della sua mancanza di autostima, e mi chiedevo se tu…
  L’hai letto su qualche libro?
 
Sì, è così.
  Beh, io questo non l’ho mai letto e non so nulla della vita di Satie, ma non darei per certo che sia questa la ragione per cui usava umorismo nella sua musica. Ci sono stati altri compositori che hanno usato umorismo nella loro musica, in vari modi, e davvero non sposo l’idea del meccanismo di difesa. In effetti, la cosa più coraggiosa che si può fare è fare qualcosa di umoristico per un pubblico che non mette in conto l’umorismo. Prendi un pubblico di musica classica: ecco un ottimo esempio. Ci sono solo tre cose dotate di meno umorismo di un pubblico classico: un pubblico country & western, un pubblico rock & roll e un pubblico jazz.
 
A quale pubblico pensi di andare più a genio?
  Non lo so, è piuttosto ampio in termini di età e altro.
 
Pensi che, come compositore, ti avrebbe portato qualche beneficio studiare sotto l’insegnamento di qualcuno?
Nein. No.
 
È lecito definirti completamente autodidatta?
  Beh, ti dirò esattamente che cos’ho fatto per imparare il mio mestiere. Sono andato in biblioteca e ho ascoltato dei dischi. A scuola avevo ricevuto delle nozioni di base di armonia e di teoria, ma ne ho rifiutato la maggior parte perché noiose e non utili per ciò che volevo ascoltare. Perché, prima di tutto, la cosa che più amo della musica diatonica sono le quinte parallele, è uno dei miei suoni preferiti.
 
Sgradevole.
  Proprio così, è un suono sgradevole. “Non si possono fare”. Allora ho pensato che chiunque mi dicesse che non potevo fare quello che mi piaceva non stava dalla mia parte.
 
Che cosa pensi dell’attuale sistema di educazione musicale?
  Penso che sia destinato a produrre persone che non sanno nulla di musica.
 
Hai qualche idea su come migliorarlo?
  La prima cosa da dire è che la maggioranza dei musicologi sottovaluta le esibizioni dal vivo e sopravvaluta lo stile accademico. Penso che sia sbagliato. Tutti dovrebbero poter suonare qualcosa, provare la gioia di mettersi a suonare uno strumento e rendersi conto di cosa significa fare musica, non solo parti assegnate. Alle persone dovrebbe essere data l’opportunità di improvvisare e vedere com’è inventarsi qualcosa. Proprio lì su due piedi.
 
Usi molto l’unisono nella tua musica; lavori con una base e ci improvvisi sopra?
  Beh, le canzoni sono strutturate in modo tale che ci siano fattori unificanti e assoli singoli, e in qualche caso ci sono interi spazi vuoti che riempirò sul palco. E può darsi che durante una serata io impazzisca e mi inventi qualcosa al momento.
 
Hai aperto la strada alla combinazione di jazz, rock e musica “seria”…
  Questa è solo un’estensione logica di come è il tutto. Se guardi bene, tutto è composto dalle stesse cose, e non sto parlando di atomi. Non c’è motivo per cui la musica non dovrebbe contenere qualunque elemento che tu, come compositore, voglia ascoltare. Quello che io metto insieme è costruito per soddisfare i miei gusti. Se ad altri piace il modo in cui lo cucino, allora anche loro possono mangiarlo.
 
Hai lavorato un po’ con delle orchestre sinfoniche; ti ha soddisfatto il modo in cui hanno reagito?
  Beh, individualmente, nelle orchestre ci sono persone annoiate o maldisposte verso quello che faccio. Ma, a seconda dell’orchestra e delle condizioni, il più delle volte andiamo d’accordo. Musicalmente, i risultati non mi sono piaciuti tantissimo perché la differenza tra un gruppo e un’orchestra è questa: un gruppo con, diciamo, otto o nove membri, con la sua attenzione o il suo interesse nel fare la propria specifica musica spinto verso un obiettivo, è diverso da un’orchestra con un centinaio di persone che sono pagate per fare il loro lavoro e si pongono proprio come se fossero idraulici. È una consapevolezza molto diversa, ed è difficile convincerli a mettere le loro energie personali in ciò che suonano, come invece è possibile fare con dei membri di un gruppo.
 
In un’orchestra ci sono senza dubbio anche persone coinvolte sinceramente nella musica…
  È vero, ma sto parlando del risultato netto di gruppo. È molto raro trovare un’orchestra, specialmente negli Stati Uniti, la cui motivazione principale sia quella di mettercela tutta nelle esibizioni e lasciare il pubblico stupefatto, perché sono tutti preoccupati delle loro pause sindacali. Sono preoccupati per le nuove normative che influenzeranno il loro reddito e tutte quelle altre stronzate. Non sto dicendo che questo non succeda anche nel rock & roll, ma gli orchestrali non sono così coinvolti come lo sarebbe un gruppo rock.
 
Quanta parte della musica che hai scritto è stata registrata?
  Circa l’80%.
 
Il resto del materiale non è stato registrato perché ritieni che non abbia mercato o perché temi che le persone non lo capiranno?
  No, non ho mai avuto paura che la gente non lo capisse perché per me è un dato di fatto. C’è sempre questa possibilità. Ma quello che mi impedisce di registrare tutto è il costo.
 
Hai fatto un paio di album con un grande complesso jazz, “Il Gran Wazoo” e “Waka/Jawaka”; con i musicisti jazz pensi di avere in studio lo stesso tipo di problemi che hai con i musicisti orchestrali?
  No. Sono razze diverse di musicisti. Come energia non erano ancora al livello di un gruppo rock, ma non erano rigidi come i musicisti sinfonici.
 
Come pensi che la tua musica abbia influenzato la musica di oggi nel suo insieme?
  Beh, se faccio qualcosa che ad altri gruppi o ad altri musicisti sembra interessante e lo prendono in prestito o lo estrapolano, allora è così che la mia influenza si esercita.
 
Hai mai considerato la possibilità di insegnare?
  No. No davvero. È già difficile insegnare ai membri di un gruppo a suonare queste cose, figuriamoci tenere corsi.
 
Che ci dici delle prove? Dovete farne un bel po’.
  Proviamo tre settimane prima di ogni tournée. Cinque ore al giorno, cinque giorni alla settimana. Il tecnico del mixer partecipa alle prove con il gruppo, e nell’ultima settimana delle prove arriva anche il tecnico delle luci. Inoltre, nei giorni in cui suoniamo un concerto proviamo per tre ore prima del concerto.
 
Hai dovuto affrontare problemi di perseveranza?
  Sì, abbiamo qualche problema di perseveranza, ma solo quando a un membro piace spassarsela troppo. E chi se la spassa troppo non fa più parte della band.
 
Succede molto spesso?
  No. Solo un paio di volte ho dovuto licenziare qualcuno. Aveva fatto dei pasticci.
 
Quando hai sciolto le prime Mothers, la band di “Assolutamente Liberi” e di quello che è seguito, hai detto che il pubblico non era pronto per la tua musica. Pensi che da allora il pubblico sia maturato?
Ja. Sì.
 
A che cosa lo attribuisci?
  Alla diffusione di alcune delle tecniche di cui noi siamo stati pionieri. E poiché la gente continua ad ascoltarle dalle fonti più diverse, allora potrebbe pensare: “Beh, forse Zappa faceva bene a fare così”.
 
Pensi che il jazz e il rock siano diventati più complessi a causa dell’influenza della musica classica?
  No. Penso che il jazz e il rock siano diventati più complessi a causa dell’influenza del jazz e del rock. Non penso che, in entrambi i campi, siano in molti quelli che prestano davvero attenzione alla musica, per così dire, seria. È un dato di fatto, al giorno d’oggi una delle cose più malate nel mondo musicale è la musica seria. Contemporanea. Non sto parlando dell’inizio del XX secolo. Sto parlando dei compositori contemporanei. Fanno solo cagate. È sconcertante.
 
Che cosa ti disturba in particolare dei compositori contemporanei?
  È la generazione post-Webern. I compositori post-Penderecki. Cercano tutti di salire sul carro, sai. La gente ha iniziato a interessarsi a Webern e tutti hanno iniziato a scrivere minchiate bip-bop. Sai, spazi tra le note, serializzazione delle pause nei brani e tutta quella roba là. Gli unici che potrebbero davvero apprezzarla sono i programmatori di computer, che certamente non hanno orecchio per quella roba. E, oltretutto, Webern l’ha fatto alla perfezione, per cui non c’è motivo perché tutti provino a delirarci sopra in quel modo. Quando Penderecki è arrivato con i suoi ammassi densi, i suoi effetti d’archi e cose di quel genere, molti altri compositori hanno iniziato a fare le stesse cose. È come un vestito “all’ultima moda” o qualcosa del genere; troppe persone si interessano al modernismo superficiale dei suoni senza mettere alcun contenuto reale nei loro brani. Non hanno vita. Vado sempre a comprare musica contemporanea, compro principalmente questo tipo di album. E, invariabilmente, resto deluso dai brani e da tutti i nuovi emergenti. E soprattutto dalla musica elettronica. È così… scialba.
 
C’è qualcuno nella musica elettronica che apprezzi? Stockhausen? Subotnik?
  Non mi piace la musica elettronica di Stockhausen. Subotnik non mi piace per niente. C’è un brano di Stockhausen che mi piaceva: ho un album con “Canto dei fanciulli nella fornace ardente da un lato e “Contatto” dall’altro. È piuttosto buono. Gran parte del resto… non è musicale. E non sono un maniaco della matematica, quindi non mi metto lì a… C’è un altro compositore le cui cose mi piacciono, con qualche riserva, ed è Milton Babbitt.
 
Tornando al tuo orientamento musicale: il tuo ultimo album, “Successo Folgorante”, mi ha colpito in modo molto diverso rispetto agli altri album che hai fatto. Rispetto ai suoi predecessori, più orientati al jazz, ha preso più piede tra il pubblico delle Top 40. Mi chiedevo se tu fossi consapevole di questa eventualità quando hai realizzato quell’album.
  No. È quello che mi sentivo di fare. La gente fa l’errore di pensare che, se uno fa un album, quello che c’è lì, all’interno della sua copertina, rappresenti la somma totale di tutto quello che lui può concepire musicalmente e basta. Ma ognuno dei nostri album è diverso. Quindi lì c’è quello che in quel periodo mi interessava fare; ho realizzato un album chiamato “Successo Folgorante”, e dentro c’è quello. Tutto qui, amici.
 
Potresti commentare il tuo prossimo album?
  Si chiama “Apostrofo (’)”. Ha un brano strumentale, e il resto è cantato. Ha alcune cose che sono, in qualche modo, blues, ed io stesso canto tutto. Alcuni pezzi sono con questo gruppo e altri sono con altri musicisti: Jack Bruce, Jim Gordon, Aynsley Dunbar, Johnny Guerin
 
C’è in questo periodo un progetto al quale stai dedicando la maggior parte delle tue energie?
  Sì, la band. Perché penso che questa band, una volta che si sarà modellata e avrà imparato a suonare tutto questo materiale, sarà un ottimo vettore per la musica futura. Ha molta abilità. Su questo materiale sono ancora incerti. Potrebbero sembrare coesi, ma non è così. E quando lo saranno, vi faranno stramazzare.
 
Nei futuri saggi sulla musica ci sarà senza dubbio qualche menzione su di te e sul tuo lavoro. Come pensi che sarai considerato?
  Dubito che in quei libri mi tratteranno molto seriamente considerando che, dopo tutto, devono tenere in piedi il sistema. Se non lo facessero, diamine, voi non diventereste consumatori, no?


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